martedì 25 novembre 2014

matura etade

 
Il vento del tempo costruisce le rughe ma non cancella nell'anima le orme che le  esperienze di vita conducono ad essere quello che sei.
Voglio perciò, ripercorrerlo tutto, a conferma che nulla di quello di cui si fa esperienza nel cammino della vita, passa inosservato alla vita stessa.



I
La vigilia 


Arriva sottovoce ma non sotto tono il mio 56mo genetliaco.

Alla sua vigilia, come capita a molti altri esseri pensanti, ho il tempo di assaporare tutta la bellezza dei giorni trascorsi in questo mondo che fin dall'origine si preparava ad attendermi.


Non sono mai stata sola, fin dal grembo materno ero in compagnia della mia gemella, così diversa da me, così timida, delicata, timorosa di tutto, ma caparbia, proprio come me.

Credo di averla amata da sempre, nonostante i sicuri difetti (chi non ne ha). Mi sono sempre sentita in dovere di proteggerla in qualche modo rendermene custode, forse perché la sento fortemente parte di me.


Il ticchettio del pendolo intona l'eco delle risate gioiose tra sorelle e delle scaramucce infantili. Rivivo forte il profumo della mamma, il suo sorriso, le sue parole d’incitamento, e il suo sguardo di disappunto, accidenti, con un'occhiata ti sapeva leggere dentro e ti faceva sentire così minuscola, soprattutto quando avevi colpa per quello di cui ti rimproverava.


Mi rivedo nelle stanze luminose della nostra casa a Telese, la grande quercia fuori di casa, i giochi all' aria aperta con i vicini di casa. Le lunghe giornate estive passate alle terme a sguazzare nelle vasche dei “goccioloni” termali e i pomeriggi gioiosi alla fontana dell'acqua solfurea; era lì che tra un bicchiere d'acqua, un tarallo nostrano e un racconto di vita contadina aspettavamo che papà ci raggiungesse per portarci a casa.


Non abbiamo abitato per molto tempo a Telese, credo due o tre anni ma mi è rimasta una gioiosa sensazione di quei posti e di quella gente, della cura che mettevano per tutto dalle loro vigne, alle feste per la raccolta dell'uva. A casa di un tal zi'Ntonio, per esempio, la facevano pigiare con i piedi scalzi a noi bambini; in quantità bastante per la magica procedura segreta del vin-cotto.


La nostra casa a Benevento aveva l'altalena che scendeva dal soffitto del corridoio. In quella casa a misura di bambino, tutto era avvolto da un alone di magia, di quel tipo d’incanto che solo le mamme sanno preparare, era lì che dal lago di Telese (che noi bambine lasciammo a malincuore) il vento soffiava le storie che la mamma ci narrava la sera. Era lì che al primo rintocco mattutino della campana del Duomo, gli angeli, ci portavano una caramella in dono. Era sempre lì che la befana burlona nascondeva i doni. Forse per risparmiare sul carbone ma quando finalmente riuscivamo a trovarli, nascosti nello sgabuzzino di casa, era una grande festa.


Quella casa aveva un grande cortile, dove scorazzavamo con i tricicli che la befana della coltivatori diretti aveva portato ai figli dei dipendenti, quell’anno ritirammo anche un cavallo a dondolo per il mio primo fratellino.

E' strano ma non conservo memoria di mia madre con il pancione, il primo ricordo che riesco ad afferrare riguardo al mio primo fratello, è un grande campo di calcio, mio padre che disputava una partita(a quel tempo era un giocatore dell’Internapoli), io e la mia gemella, sedute sulla gradinata e mia madre che si occupava del mio fratellino, cullandolo nel passeggino. A quel ricordo è associato un grandissimo boato, una specie di grande rumore indefinibile insieme con uno strano tremore improvviso: Era il terremoto.



Quella casa aveva un grande cortile, dove scorazzavamo con i tricicli che la befana della coltivatori diretti aveva portato ai figli dei dipendenti, quell’anno ritirammo anche un cavallo a dondolo per il mio primo fratellino.
Tre soli anni ci distanziano.  Quando arrivò al mondo fu l'apoteosi il suo pianto notturno aveva un certo non so bene cosa se di allerta, di imminente richiesta di soccorso, o piuttosto che di una impellente attestazione di esistenza in vita. Mia madre ha sempre sostenuto che fosse fame. La prima volta che tentai di prenderlo in braccio capitò che mia cugina stesse bene di voce e allertò con un urlo fragoroso tutto il vicinato e fu così che presi il mio primo scappellotto Non potevo tenerlo in braccio, non potevo dargli caramelle, non potevo mettere fiocchi, non potevo disegnarci sopra... Insomma sembrò all'epoca un pacchetto urlante inutile al gioco e oltremodo fastidioso all'udito. Poi in giorno cominciò a balbettare qualcosa e cominciò a sorridermi e a interagire in qualche modo.Fu proprio allora che cominciai ad amarlo e a comprendere che io per lui ci sarei sempre stata. E' strano ma non conservo memoria di mia madre con il pancione, il primo ricordo che riesco ad afferrare riguardo al mio primo fratello, è un grande campo di calcio, mio padre che disputava una partita(a quel tempo era un calciatore professionista tesserato), io e la mia gemella, sedute sulla gradinata e mia madre che si occupava del mio fratellino, cullandolo nel passeggino. A quel ricordo è associato un grandissimo boato, una specie di grande rumore indefinibile insieme con uno strano tremore improvviso: Era il terremoto Onde altissime sul lungomare di Napoli, le colonne di un porticato che sembrava si facessero gli inchini, mia sorella spaventata che urlava "ci prende, ci prende!", quando ha visto muoversi le colonne e subito dopo, sollevarsi il mare

II.

Il cavallo a dondolo di mio fratello



Vi ho detto prima, del regalo di Natale che ricevemmo per mio fratello, insieme ai nostri due rossi fiammanti tricicli super accessoriati.


Si proprio lui il cavallo a dondolo, che si fece prepotentemente spazio nel mondo fantastico del mio piccolo fratello, fino a sostituirsi alla compagnia di noi sorelle. Nel suo viaggiare fantastico in groppa al suo destriero,era tutto preso dal far scendere e salire le persone che immaginava di portare in groppa. Spesso era il nonno, per portarlo a comprare le gassose, oppure era la Rosetta che andava a consegnare il latte appena munto; non si fermava mai.


Era così tenero nel prendersene cura! Per la verità ero diventata così gelosa della dedizione di mio fratello verso quello stupido cavallo a dondolo che m’impegnavo proporre giochi in cui il maschietto era necessario. Mi adoperavo a trovare almeno un compromesso, così finiva che giocavamo alla famiglia, lui doveva fare il papà ed ero soddisfatta, anche se era un papà a cavallo.


Tutto l’inverno quell’anno, lo trascorremmo cercando di riprendere il posto che il cavallo a dondolo ci aveva sottratto.


A primavera quando le giornate si fecero appena calde da permetterci di stare fuori di casa senza cappotto e i giochi all’aperto occuparono gradualmente il posto di quelli possibili in casa, il piccolo si dimentico del suo destriero, lo nutriva di rado, lo spazzolava ancora meno ma soprattutto lo cavalcava solo dopo cena.


Quella primavera eravamo diventate più svelte nei giochi di gruppo, c’eravamo appena trasferiti dalla casa di città a quella di campagna. Quel mondo di campagna che mi ha reso forte e orgogliosa di me stessa e delle mie radici.


Era una specie di masseria, dove, però tutti avevano abitazioni indipendenti. Credo che lì sperimentai, inconsapevolmente, la vita della comunità descritta negli atti degli apostoli. Le povertà di ciascuno diventavano la ricchezza di tutti. Non erano tempi splendidi, eravamo ancora così troppo vicini al dopoguerra, quasi tutto era da ricostruire. C’era da parte di tutti quell’attenzione sollecita all’altro, eravamo tutti presi dal renderci vicendevolmente felici, che alla fine era palpabile anche per chi si univa dall’esterno quell’armonia d’intenti.


I ricordi volano incollati l'uno agli altri disordinati, come coriandoli si affacciano. I dettagli assumono l’importanza rispettabile del sacro; i lunghi capelli di zia Carmela quando si scioglieva la lunga treccia che attorcigliava a "tuppo", il candido telo teso sotto gli alberi per la raccolta dei gelsi, il gioco della conta dei fiori rossi sui melagrani, la lunga scala per la raccolta delle ciliegie, le dita nere tinte dal mallo raccolto per fare il liquore di nocino. Anche la bonifica dei campi dalle pietre. A proposito della raccolta delle pietre fu allora che coniammo il detto sarcastico del riposo del contadino “mentre t’arrepuos’ carreame doje prete”, mentre ti riposi, accantona qualche pietra.


Nelle giornate più calde dell’anno era in uso, per tutte le donne e i bambini della masseria, di portarsi verso la sorgente Brecelle che donava generosamente le sue acque limpide nei pressi del fiume Calore. In quel luogo, in aperta campagna, distanti venti minuti di cammino dalla masseria, mentre noi bambini avevamo già elevato quel fiume al rango di mare, immergendoci felici e ristorati dalla calura, nella zona calma e sicura di quel tratto di fiume, recintato da massi fluviali, le donne di casa levavano dalle ceste di vimini il bucato e iniziavano a strofinarlo su grosse pietre saponarie.


Il tempo era scandito dai loro canti di campagna e dall’infrangersi dell’acqua del fiume sul pietrame e sui massi della zona sicura. L’odore del sapone fatto in casa, si spandeva prepotente allo sciorinare del bucato e faceva diventare lattiginoso il corso che dalla sorgente dell’acqua procedeva diritto a guadagnare il fiume. Solo quando l'acqua diventava di nuovo trasparente, le massaie-lavandaie, smettevano di immergere il bucato nella fonte.


Il momento della stenditura del bucato, coincideva sempre con il richiamo a uscire dall’acqua anche per noi bambini, cosi che mentre i panni erano stesi al sole, noi dovevamo distenderci ad asciugarci sulle stuoie di sacco, dove erano stati sistemati i teli di cotone grezzo, gli stessi che servivano per la raccolta dei gelsi, delle prugne, delle susine e delle olive.


Quando il bucato era bell’asciutto e oramai il sole cominciava a scendere a un palmo dalla chioma della dormiente, era il tempo di rincasare. Sulla via del ritorno, erano molte le soste da fare, ciascuno di noi era provvisto un cappello di juta inamidato con lo zucchero, sembrava un cappello da spaventapasseri che strada facendo dovevamo riempire. Chi trova più bacche vince, era la sfida lanciata dalle massaie, ma non c’erano bacche da raccogliere con quel caldo, i nostri cappelli si riempivano però di fiori e quadrifogli che con orgoglio mostravamo al rientro.


Allora nessuno di noi bambini si avvedeva che i cappelli erano uno stratagemma per tenerci ancora impegnati nei campi per dare modo a gran parte delle donne di rincasare e sistemare la masseria prima del nostro rientro.


Era necessario che tutto fosse in ordine, perché i giorni di quelle nostre uscite dalla masseria, erano i quelli della monta delle vacche.






continua...

III

L’oro bianco

...



.:.

domenica 23 novembre 2014

State buoni se potete

E' tempo di costruire un partito che si era reso invisibile, tenuto insieme con lo sputo.
 E' tempo di costruire un partito degno di un Italia che pur soffrendo lo fa con immensa incredibile dignità,
 E' tempo di costruire questo partito a cui le tantissime famiglie si sono "votate" sperando che succedesse finalmente il miracolo di una compagine che non "inciuciasse", che chiudesse le porte alle correnti.
 E' tempo di crescere e lo dico a tutti i Matteo a tutti i Corradino a tutti i Pierluigi, a tutti Massimo a tutti i Wallter,a tutti i Romano a tutti gli Ignazio a tutti i Pippo, a ogni Rosi, ad ogn Anna, a cui abbiamo delegato con una preferenza alla lista i nostri sogni, le nostre speranze di vivere il tempo che ci rimane in un'Italia più giusta meno "mariuola" e arrivista. 
E' tempo di crescere insieme alle famiglie Italiane che con il loro sacrificio immane di far quadrare i conti. tenendo in casa i figli oltre il limite inimmaginabile di età, cercando con amorevole dedizione di non farli cadere nello sconforto, nell'inettitudine, nella rete malavitosa, a causa di questa enorme inoccupazione e crescente disoccupazione che non gli permette di crearsi una famiglia e neanche di poter sperare di progettarne una.


 Signori per amore o per rispetto. di quanti credono nell'unità del PD.

 PIANTATELA
smettetela di beccarvi, non ne possiamo più.

 Vi vogliamo insieme uniti e non belligeranti, abbiamo bisogno di un partito che se le dica in faccia ma che non sia rancoroso, che abbia orgoglio ma anche mitezza e umiltà, abbiamo bisogno di un partito che sia una famiglia dove si discute,si litiga ma ci si ama ci si rispetti e soprattutto dove si voghi tutti insieme verso quel sole di speranza di riscatto italico che ancora siamo sicuri, siete in grado di darci.

Dunat', o' velano


Embè che v'aggia dìce, quanno m'attorno a casa d'a fatica
e a peccerella m'addimmand' cu lle braccell' aperte
e nu surrise ch'annasconn' o'sole, si l'aggiu purtato a bella cosa
m'attorneno e penzier'd'o ppassat'sott'a chella purtell' dellu squat'
S'affolan'int'a capa comme fossero lucelle che fanno abbicc'e stut'
comm'a n'arber'e natale, come a ccient'pecur assetate.

'Jo lle vulesse dicere a nennella, che a bella cosa a tena ggià
songh'o, è a mamma int'a cucina è u' frat' ca sta'a llà.
Ma comm'oppò capiì stà figliulella mia, chell'c'a me roseca int'ocor!
Faccio nu'suspir amaro, pò mett'man'a sacc' 
e ll'allong a caramell' che a mmè nisciun'pat' ha dat maj'!

mercoledì 19 novembre 2014

lo spettacolo del 10 agosto

Il mago Marcello arrivato in paese
dà uno spettacolo al dieci del mese
è tutto ormai pronto per la gran festa
ma il  sole di  agosto gli picchia alla testa

la bacchetta agita come una spada
eppure il coniglio non trova la strada
non si accorge nemmeno il  tapino
che non ha il cilindro e il mantellino

Il pubblico ride e fa schiamazzo
gli sfuggono di mano le carte del mazzo
inciampa confuso nello sgabello
così ridono tutti per quel macello

vacilla tra il pubblico senza  posa
e dona a ogni donna  una magica rosa
 un palloncino  ad ogni bambino
ed ad ogni nonno un bel sorrisino

poi nel trambusto perde la cintura
precipita al suolo a guardar la natura
è proprio la sera  delle stelle cadenti
e distratto com'è si perde anche i denti.